Hip hop, il senso della rivoluzione
«This real hip hop/And it don’t stop until we get the po-po off the block (Questo è vero hip hop/E non si ferma finché non mandiamo via le guardie dal quartiere): così rappano i Dead Prez, il duo newyorkese formato da M-1 e stic.man, in Hip Hop, il brano manifesto di Let’s Get Free, l’album d’esordio del 2000 che quest’anno ha compiuto venticinque anni, continuando a rivendicare, traccia dopo traccia, l’urgenza di un antagonismo radicale. Più che una semplice denuncia, la traccia è una presa di posizione sul senso stesso della cultura da cui nasce: non solo una forma espressiva, ma una pratica collettiva di resistenza.
In un’epoca in cui il rap si avviava a diventare linguaggio dominante dell’industria globale, Hip Hop rimette in discussione i suoi codici, respinge ogni addomesticamento e riafferma la funzione militante del suono e della parola. Non c’è vera musica, sembrano dirci i Dead Prez, senza lotta: non è vero hip hop se non agisce per sovvertire lo stato di cose presenti. Nel pieno di una stagione in cui il successo commerciale sembrava anestetizzare ogni carica sovversiva del rap, i Dead Prez esordivano con un album le cui liriche rifuggivano ogni mediazione simbolica per riportare al centro la prassi politica. Nessuna retorica, nessuna vaga coscienza afrocentrica: si parlava di organizzazione di base, autodifesa, alimentazione alternativa, educazione popolare.
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