Quando VIBE Magazine pubblicò il suo iconico numero di debutto nel settembre del 1993, il team editoriale decise di immortalare in copertina un allora giovanissimo Snoop Doggy Dogg, nonostante Doggystyle, suo disco d’esordio, non fosse ancora uscito. Non solo, il titolo di quello storico primo numero non lasciava spazio ad alcun dubbio: il 1993 era “l’anno in cui l’hip-hop e l’R&B conquistarono il mondo”.
D’altronde, proprio nel corso di quell’anno la cultura e lo stile hip hop conquistano spazi sempre più ampi all’interno dell’industria dell’intrattenimento e dello sport, nonché l’attenzione della nazione intera; dalla musica al cinema, dalla moda al basket. La sitcom della NBC Il principe di Bel Air, con protagonista il giovane rapper – e futuro re del botteghino – Will Smith è uno degli show più popolari d’America. Così come lo diventerà anche Living Single, con protagonista la rapper Queen Latifah. Nel mentre sul grande schermo Poetic Justice di John Singleton accende i riflettori sulla super star Janet Jackson e sul rapper 2Pac Shakur. Michael Jordan, ormai icona globale, porta i suoi Chicago Bulls alla vittoria del loro primo campionato NBA, mentre Angela Bassett interpreta magistralmente Tina Turner nel biopic What’s Love Got to Do with It, ottenendo una nomination all’Oscar.
Ma è a livello musicale che il 1993 apre una nuova era, quella del definitivo take over del mainstream. Doggystyle, pubblicato il 30 novembre, diventa il primo album rap a entrare direttamente al numero uno della classifica Billboard dei 200 album più venduti. Da quel momento in poi, l’hip hop avrebbe vissuto una centralità sempre maggiore sia nella cultura popolare, sia anche nel big business, come confermato dalla partecipazione di Snoop Dogg al Saturday Night Live nel marzo 1994. Quel passaggio televisivo in cui il rapper di Long Beach si presenta alla nazione vestito Hillfiger da capo a piedi, portando le storie di strada di LA nei salotti dell’americano medio, entra nella storia contribuendo a trasformare il gangsta da ribellione del ghetto nero in un prodotto americano “genuino e amato come una tipica torta di mele”.
Nel 1993, infatti, per la prima volta, l’attenzione dei media si sposta oltre New York City, il principale spazio di produzione hip hop da quando il genere era nato, in una sala ricreativa del Bronx, vent’anni prima. La pubblicazione di The Chronic di Dr Dre l’anno precedente, con i leggendari featuring del suo giovane protetto avevano gettato i semi per il successo di Doggystyle, sancendo anche la nascita di un nuovo sottogenere, il G funk. Il successo del duo avrebbe inoltre spalancato le porte a una pletora di MC e gruppi rap della Costa Ovest. Artisti come Ice Cube (Lethal Injection), Above The Law (Black Mafia Life), Too $hort (Get In Where You Fit In) e Eazy E (It’s On [Dr. Dre] 187um Killa) confermano la California come la vera capitale del reality rap.
Il già citato futuro martire dell’hip hop 2Pac, con il suo secondo album Strictly 4 My N.I.G.G.A.Z., evidenzia all’America intera tutta la sua rabbia e la propria frustrazione con testi e liriche di denuncia politica e sociale senza mezzi termini, aprendosi però anche a un immaginario gangsta. Questo, d’altronde, era 2Pac: un artista in bilico tra durezza e sensibilità, tra coscienza sociale e misoginia. L’album mette in luce un MC in piena evoluzione, capace di trattare temi via via più complessi in modo sempre più provocatorio.
Ma la West Coast non ha soltanto questa scena; i Cypress Hill, infatti, stanno volando alto in senso sia figurato, sia letterale con un triplo disco di platino per l’album Black Sunday. Il loro rap, così come il loro immaginario sono parte di una scena underground in pieno fermento. Il flow spensierato e alternativo dei Pharcyde ricorda più il collettivo Native Tongue che i Compton’s Most Wanted così come i Tha Alkaholiks potrebbero essere membri della crew Diggin ‘in the Crates di New York o gli Hieroglyphics e i Freestyle Fellowship sono più tipi da spoken word cypher che da driveby e storie criminali.
Uno dei gruppi più sorprendenti sono i Digable Planets, crew in cui l’afrofuturismo di Sun Ra incontra il free jazz di Albert Ayler, la spiritualità nera di A Love Supreme di John Coltrane e le rime dei The Last Poets. Il loro sound riflette la fusione dei rispettivi mondi dei tre membri del gruppo: le radici jazz di Buterfly, l’esperienza di strada di Doodlebug e l’identità interculturale di Ladybug Mecca. Il loro album Reachin’ (A New Refutation of Time and Space) è artisticamente solido, sfacciatamente consapevole e assolutamente cool.
In questa nuova geografia del rap si inserisce ora anche il Sud degli USA. Nonostante quella scena regionale abbia prodotto artisti popolari come i Geto boys e 2Live Crew, gran parte del Paese non è ancora interessato a ciò che accade al di fuori del dualismo tra NYC e LA. Nonostante ciò, Atlanta sta sfornando alcuni incredibili MC e producer, tra i quali il gruppo che riscriverà le regole del rap, gli Outkast. Con Atlanta come epicentro di quella scena, iniziano a emergere anche nuovi sottogeneri, come il Miami Bass e il Dirty South di cui 8Ball & MJG e Goodie Mob rappresentano eccellenti esempi.
Ma New York non è certo da meno. Un primo indizio di ciò che sta accadendo nella Grande Mela è esemplificato dal cambio di direzione artistica della stazione radio WQHT (Hot97) che passa da un format dance a uno hip hop, lanciando lo slogan “where hip hop lives” e imponendosi come l’unica radio hip hop di NYC e della nazione.
La vena creativa della città è più attiva che mai; i Naughty by Nature pubblicano il loro secondo album, 19 Naughty III, che guadagnerà un triplo disco di platino, riuscendo in una missione quasi impossibile: fare hit dal sapore pop mantenendo una credibilità di strada; KRS one pubblica il suo primo disco solista, Return of the Boom Bap, rime taglienti di esplicita rivendicazione sociale combinate a ritmi duri e beat scarni. Ma anche Run DMC, Salt n Pepa, Big Daddy Kane, Biz Markie, Jungle Brothers, Queen Latifah, De la Soul, Brand Nubian, MobDeep, the Beatnuts, Guru, solo per citarne alcuni, pubblicano album considerati oggi dei classici.
E che dire di ciò che accade il 9 novembre 1993, ovvero il giorno in cui vengono pubblicati contemporaneamente Midnight Marauders di A Tribe Called Quest e Enter the Wu-Tang (36 Chambers) album d’esordio dei Wu Tang Clan? Quel giorno è ricordato nella storia del rap come uno dei più importanti in assoluto. Q-Tip, Phife Dawg e Ali Shaheed Muhammad hanno un sound intriso di campioni jazz e soul ricercati sui quali rappano testi divertenti, introspettivi e ottimisti che celebrano l’esperienza nera. I Wu Tang, invece, sono una crew composta da nove MC di Staten Island, guidati dall’innovativo produttore RZA, che mescolano rime di strada, bizzarri riferimenti alla cultura pop, clip di film di kung fu con l’ideologia dei 5% Percenter. Mentre gli ATCQ rappresentano l’aura intellettuale e cool del rap, i Wu-Tang Clan di sicuro sono la rappresentazione di un approccio più hardcore, più vicino alla realtà dei giovani neri newyorchesi.
L’album capace di rappresentare al meglio il cambio di passo del rap in quel 1993 è però Enta da Stage dei Black Moon. L’album è considerato l’inizio di una nuova era, di un sound hardcore che diventerà un classico della Costa Est. Enta da Stage introduce un suono pionieristico: tracce dure, rime ruvide con un ritornello urlato da b-boy che cantano in coro. Anche l’heavy metal rap degli Onyx dà l’impressione di voler mettere in luce il tipo di rabbia che esiste in gran parte dell’America urbana, per incanalarla in tracce energiche con ritornelli orecchiabili.
Da quei primi anni 90 la cultura hip hop si è trasformata, diventando oggi un elemento ormai imprescindibile della società americana. Non solo l’hip hop è da anni uno dei generi musicali più venduti, ma anche una cultura talmente influente da dettare tendenze in diversi ambiti, dal big business alla vita quotidiana. A livello di business, le grandi corporation usano i diversi elementi della cultura hip hop per la promozione dei propri prodotti, soprattutto nell’ambito del marketing e della pubblicità. A livello sociale, l’hip hop detta mode, stili, acconciature e linguaggio. In questo senso, il titolo del primo numero della rivista Vibe si è rivelato quantomai profetico.