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Per il trentacinquesimo anniversario di Wild Style ripropongo un estratto di una mia intervista con Charlie Ahearn.

Attivo nella scena artistica underground newyorkese sin dalla metà degli anni Settanta, Charlie Ahearn ha iniziato la sua carriera di fotografo e regista nel collettivo artistico Co-Lab Collective impegnato nella creazione di Artivism, produzioni culturali funzionali allo sviluppo della creatività e delle forme espressive del gruppo e, soprattutto, alle esigenze delle comunità nella quale vivevano e operavano: il Bronx.

Nel 1980, durante una esposizione, divenuta storica, – tra i writer spiccavano i lavori di Jean Michelle Basquiat e Keith Haring – inun edificio abbandonato di Times Square, Charlie Ahearn conobbe Fab Five Freddy e Lee Quinones del collettivo di writer Fabolous 5. Quell’incontro porterà ad un sodalizio artistico e professionale che si concretizzerà nella realizzazione di Wild Style (1982), il primo film ad evidenziare le forme espressive conosciute come i quattro elementi – Mcing, DJing, B-boying e Writing – come parte del movimento culturale che da lì a poco avrebbe assunto il nome di Hip Hop in tutto il mondo.

Nel corso degli ultimi anni Charlie Ahearn ha continuato la sua attività di fotografo e regista (nel 2000 ha presentato il suo primo lungometraggio al Sundance film Festival) senza mai tralasciare la sua passione, la ricerca delle origini della cultura Hip Hop. Dopo anni immersione tra i racconti, ricordi e le memorie dei pionieri della scena Uptown, tra fotografie e flyer dai sapori decisamente old school, Ahearn ha pubblicato nel 2003 Yes Yes Y’All, una storia orale / fotografica sui primi dieci della cultura Hip Hop.

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u_net: Com’è scaturita l’idea di realizzare un film che raccogliesse tutti gli elementi della Cultura Hip Hop? Raccontaci qualche storia interessante sul makin’ of Wild Style.

C. Ahearn: Nel 1980 il Co-lab Collective, un collettivo di giovani artisti di cui facevo parte organizzò una mostra in un edificio abbandonato di Times Square, durante quell’occasione conobbi Fab Five Freddy e Lee Quinones, entrambi appartenenti ai Fabolous 5. Fred era convinto che fossi un nero per la grafica utilizzata per un mio film del 1979 sulle arti marziali, The Deadly Art of Survival. Senza che lo sapessi, Fred aveva già deciso di propormi di girare un film sulla cultura che si stava diffondendo Uptwon. Eccitato dall’idea accettai nonostante non ne sapessi poi più di tanto. Decidemmo di andare a una festa Hip Hop in un parco del Bronx. Quando arrivammo ci unimmo al pubblico e diressi la mia attenzione verso piccolo palco sul quale diversi individui si alternavano al microfono. Ho ancora delle foto di quella festa. Mi avvicinai al palco e mi misi a godermi lo spettacolo di fianco ad un giovane di colore. In seguito, quel ragazzo, Chief Rocker Busy Bee, mi rivelò che quando mi avvicinai iniziò a sudare freddo poiché credeva io fossi uno sbirro pronto ad arrestarlo per la canna che stava fumando. Busy Bee, però, non era sicuro così si girò e mi disse: “Hey What’s up? – Come va?”. Io, non sapendo che rispondere, iniziai spedito con la mia manfrina: “Ciao sono Charlie Ahearn un regista interessato a girare un film sulla scena Hip Hop”. Non feci in tempo a terminare la frase che il ragazzo mi prese sotto braccio, mi accompagnò sul palco, s’impossessò del microfono e disse: “Questo è Charlie Ahearn, un famoso produttore di Hollywood che vuole girare un film su di me e sulla scena Hip Hop”. La folla andò in delirio. Così nacque Wild Style.

u_net: Nel 2003 hai pubblicato Yes, Yes, Y’All, una serie d’interviste ai pionieri del genere accompagnate da fotografie e volantini, vere e proprie chicche. Vuoi parlarci di com’è nato questo progetto?

C. Ahearn: Avevo intenzione di realizzare un film che descrivesse la scena Uptown delle origini, un film che partisse dalle prime feste di Kool Herc nel 1973 e raccontasse gli anni che portarono agli artisti e alla scena di Wild Style, i primi anni Ottanta. Iniziai ad intervistare rapper, DJ, b-boy e writer per circa un paio d’anni. L’obiettivo delle mie interviste era quello di ricostruire la nascita della cultura Hip Hop poiché sapevo di non avere informazioni sulla scena del periodo e di non poter contare su nessun’altro materiale. Intervista dopo intervista, il quadro iniziò a delinearsi. Nonostante avessi vissuto direttamente parte di quella scena, iniziai a comprenderne le dinamiche generali e a conoscerne una serie di aneddoti specifici. Più imparavo più comprendevo quanto ancora dovessi apprendere. Incontrai Jim Frickle dell’Experience Music Project e gli mostrai un album con tutte le fotografie scattate e i volantini collezionati nel corso del tempo. In quel preciso momento il progetto di un film sulle origini della cultura Hip Hop si trasformò in una storia orale che per ogni intervista presenta flyer e foto degli episodi, dei protagonisti e delle feste descritte.

u_net: C’è qualcosa in particolare che ti affascina della cultura Hip Hop ed in particolare di quella dell’epoca?

C. Ahearn: Sono sempre stato affascinato dalla strana relazione tra le gang e l’Hip Hop e come le due cose siano sempre state strettamente correlate. Le gang sono nate prima dell’Hip Hop e, in seguito, sono sempre state parte integrante di questa cultura. Le gang forniscono una sorta di infrastruttura nel quartiere. Le gang non scomparvero con la nascita dell’Hip Hop, non tutti riuscirono a realizzare un’organizzazione come la Zulu Nation di Bambaataa. Le gang s’inserirono perfettamente nella nuova scena; anche se da un certo momento in poi cominciarono a chiamarsi crew, la sostanza non cambiò. Tentavano di sopravvivere come tutti noi e operavano per lo più come sicurezza durante le feste. Come facevano i Casanovas per Flash e i Furious 5 durante i loro concerti. Fu proprio all’interno delle gang che numerosi writer iniziarono a far evolvere le loro tag, da veri e propri segni di guerra in opere d’arte.

u.net & Charlie Ahearn, Milano 2005.

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