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Crush a bit, little bit / Roll it up, take a hit / Feeling lit, feeling right. Inizia così In Pursuit of Happyness, terzo singolo estratto dall’album Man on the Moon: The End of Day di Kid Cudi, prodotto dal duo elettronico Ratatat con il featuring di MGMT. Kid Cudi trita la marijuana, si rolla uno spinello, e l’accende sentendo subito l’effetto che cercava e tanto gli piace. Non gli interessa nulla, vuole solo cercare la felicità. Nel video, diretto da Brody Baker e prodotto da Josh Hartnett, Cudi sta brindando con gli amici, divertito, quando all’improvviso tutto intorno a lui il party inizia a muoversi in slow motion. Il feeling che musica immagini conferiscono è quello di un pezzo positivo che ci rassicura sul fatto che tutto andrà bene, se sapremo come muoverci: I’m on the pursuit of happiness / And I know everything that shines ain’t always gonna be gold / I’ll be fine once I get it, get it in, I’ll be good… E Cudi sembra possedere questo dono speciale: fare musica in grado di distruggere la negatività e stimolare uno stato mentale positivo.

Nell’ultimo decennio, l’hip-hop ha continuato la propria evoluzione, prendendo anche deviazioni inaspettate verso l’introversione e l’autoanalisi; molti rapper sembrano muoversi in una direzione intimista, invece di descrivere l’ambiente esteriore, quello in cui vivono, stanno descrivendo il loro universo interiore.

People told me slow my roll / I’m screaming out fuck that / I’m a do just what I want / Looking ahead no turning back. Da sempre, Cudi si presenta come una sorta di pecora nera della scena, senza la minima preoccupazione di esser escluso dal mainstream. Spinto dalla necessità di scrivere per combattere i propri demoni, convinto del potere della propria arte, The Lonely Stoner, così è stato soprannominato, è riuscito ad emergere e a crearsi un largo seguito. Cantando i suoi dolori – dalla solitudine all’amore, dalle insicurezze alla difficile relazione con la marijuana – è diventato la voce dei solitari e di quegli stoner che non avevano incontrato ancora nessun artista hip hop che rappresentasse a pieno il loro mondo.

A Cudi interessa solo la musica, da sempre. Non si è mai proposto come miglior lyricist e, di sicuro, ciò che rappa è più importante e incisivo di una qualsiasi punchline, metafora o similitudine, di un qualsiasi esercizio di stile. Dalla natura sperimentale dei suoi album al modo in cui trasmette le proprie sofferenze nei testi, Cudi si differenzia dall’immaginario tipico del rapper – e proprio questo è ciò che attira tanti fan. Tell me what you know about dreamin’ (dreamin’) / You ain’t really know bout nothin’ (nothin’) / Tell me what you know about the night terrors every night, esprimendo tali emozioni nella sua musica permette a migliaia di fan di immedesimarsi in quelle esperienze, che sono anche le loro, rendendole universali. E’ importante evidenziare come Kid Cudi sia stato il primo rapper a evidenziare la difficoltà di assumere sostanze psicoattive quando si vivono momenti piscologici ed emotivi difficili; l’erba può esser tanto piacevole e divertente quando si sta bene, così come tanto deleteria quando si sta male.

Con un atteggiamento vulnerabile e il crudo realismo con cui scrive, Kid Cudi rappresenta qualcosa unico al giorno d’oggi. If I fall if I die / Know I lived it to the fullest, è forse la migliore analogia per spiegare l’artista. Kid Cudi è proprio come la sua sostanza ricreativa preferita, l’erba: il suo groove ti avvolge, ti culla, lasciandoti scivolare dolcemente in un’atmosfera stonata. In quello spazio d’alterazione mentale, Cudi rappa esperienze e sentimenti, anche quelli non solitamente espressi, solo per farci stare bene.